Il museo e i rifugi SMI

© foto Claudio Ciabochi

DESCRIZIONE

A Campotizzoro, il tunnel scavato nella roccia, a 22 metri di profondità, doveva proteggere migliaia di operai e abitanti della città-fabbrica da attacchi aerei. I locali si presentano del tutto immutati.

È un percorso sotterraneo impressionante quello che si snoda per due chilometri sotto lo stabilimento della ex Smi di Campotizzoro. Qui negli anni Trenta fu realizzato, grazie ad un imponente progetto di architettura militare voluto dagli Orlando, un complesso sistema di gallerie antiaeree per proteggere la popolazione della cittadina industriale da bombardamenti e attacchi chimici. Oggi, finalmente, il sito è tornato accessibile al pubblico grazie allo sforzo dell’Istituto di ricerche storiche e archeologiche di Pistoia: inaugurato il 12 maggio, il museo della ex Smi ha contato un migliaio di presenze in neppure venti giorni. «I rifugi – spiega l’architetto e referente Irsa Gianluca Iori – sono stati scavati nella roccia viva a ventidue metri di profondità per mettere al riparo la forza lavoro dello stabilimento e dunque tutti gli abitanti di Campotizzoro. Quest’ultima era, infatti, una città-fabbrica, nata quasi dalla mattina alla sera grazie alla presenza, dal 1911, della Smi, industria leader nella produzione di munizioni, allora guidata da Luigi Orlando e oggi confluita nella Kme». Al museo si accede da quella che un tempo era la palazzina della presidenza: qui ha sede un percorso espositivo che ricostruisce un secolo di storia del luogo.

Molti i reperti acquistati da Irsa e provenienti dalla collezione della Kme: dalle macchine per assemblare i pezzi per le cartucce, risalenti ai primi del Novecento e ancora funzionanti, a calcolatrici, cimeli e arredi originali. Le sale tematiche permettono, poi, di scoprire quali fasi del processo di produzione erano riservate alle donne, e quali siano stati i brevetti originali nati qui. «La fabbrica – continua Iori – era in tutto e per tutto autarchica: vi si producevano stoviglie per la mensa, arredi per le case dei dipendenti, vi erano asili e scuole professionali che hanno diplomato il fior fiore degli operai specializzati. Ha dato lavoro per decenni a un indotto enorme».

Oltrepassando nuovamente la biglietteria e il bookshop, che presto saranno affiancati da una caffetteria, si può accedere a una delle nove cupole di cemento armato che conducono ai tunnel sotterranei. «Gli accessi ai rifugi – precisa Iori – erano stati studiati a forma di ogiva al fine di deviare i colpi; la struttura esterna era in grado di proteggere anche dagli attacchi chimici». Dopo un centinaio di scalini, e mentre la temperatura scende a poco a poco fino a raggiungere i dieci gradi, si arriva alle gallerie: tutto era stato studiato nei minimi dettagli per contenere seimila persone. I locali si presentano ancora immutati: le infermerie con i posti letto, la cappella religiosa, le cucine, i bagni, le docce per la decontaminazione e, alle pareti, un gran numero di panche su cui gli operai si sedevano aspettando il cessato allarme. Un percorso emozionante, dove sono visibili maschere antigas, ricetrasmittenti e materiali bellici di vario genere, oltre a cartelli di divieto, che suggeriscono di non camminare o di non fumare per non consumare ossigeno inutilmente.


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